mercoledì 17 settembre 2014



                                               LA BANDA DEGLI ORIENTALI

Una delle tante peculiarità del presepe napoletano del settecento è quella di aver introdotto, nella multicolore miriade di pastori,  personaggi legati a  fatti ed accadimenti balzati all’ onore (o disonore!) delle cronache. In altra sede[1]  abbiamo evidenziato come la scenografia subì l’ascendente dei fatti culturali del giorno: il ritrovamento di Pompei, il rinnovato interesse del contado e dei costumi, i cortei e le feste reali e qualsiasi altro  avvenimento di cronaca che stuzzicasse la curiosità cittadina. E già dagli ultimi anni del Settecento molti illustri viaggiatori avevano intuito come i presepi fossero  un vero e proprio tableau parlant: “essi fanno conoscere le abitudini, le usanze, le opinioni, i costumi e le inclinazioni degli abitanti della città di Napoli che mescolano l’allegria alla tristezza, il profano al sacro, la monelleria alla devozione, la gravità alla buffoneria più estrosa e libera”[2].
Enorme scalpore ed agitazione suscitò nell’ agosto del 1741 la visita  a Napoli dell’ effendi pascià  Hagi Hussein[3] che sfilò per le vie cittadine con un corteo a dir poco mozzafiato: soldati a cavallo, fanti, staffieri, personaggi provenienti dai vari territori dell’ impero ( caucasici, georgiani, balcanici, medio orientali, nord africani)  in uno sfavillio di ori, gioielli, vestimenti, suppellettili, colori…;  “l’orientalismo, come corrente di gusto europea che nel 700 attraversò tutti i settori dell’ arte, trovò nel presepe napoletano una sua piena e compiuta espressione”[4].
Facevano parte della sfarzosa, multicolore sfilata  anche numerosi  “musicanti” che sul presepe napoletano, nell’ ambito del “corteo degli orientali”,  furono  -e sono-  identificati come “la banda degli orientali”.
Erano i componenti della Mehter[5], la più antica banda militare del mondo, nata nel 1326 a Prusa,[6] che per secoli ha accompagnato in guerra l’esercito ottomano fornendo un fortissimo supporto emotivo che appariva in tutta la sua terribile evidenza nella Hucum Marsi, un inarrestabile segnale di attacco che continuava a risuonare esaltante, esasperante, ipnotico durante il combattimento, fattore senza dubbio deprimente per il nemico.  
Ancor oggi la Mehter propone concerti in tutto il mondo con un vasto repertorio di partiture originali e conservando viva la tradizione ottomana. Un  çorbacibasi guida la banda che è diretta da un mehterbasi  e l’elemento di base della sua struttura è il kat, piccolo gruppo di suonatori dello stesso strumento guidato da un sazbasi. Il çorbacibasi, mehterbasi e sazbasi vestono abiti rossi mentre tutti gli altri musicisti vestono di blu con l’unica eccezione dei suonatori di çevgen  che adottano anch’essi il rosso[7]. Nella Mehter sono presenti anche nove yaniceri[8] con insegne costituite da giavellotti ornati da mezzelune, due code di cavallo e gruppi di campanelli.
Numerosi sono gli strumenti musicali: per primi i fiati, ovvero gli zurna o yuras, una sorta di pifferi acuti in legno, le sibizsi, trombe in ottone anch’ esse dal tono molto acuto, lo sanhay o corno. Seguono le percussioni con il kos o kuvrug, tamburo grande in rame con battitoia in pelle di cammello e fondo emisferico dal suono molto cupo; il çifte nara, un tamburo  doppio piccolo  (uno dei due è più piccolo dell’altro). Chiudono la serie i ceng o zenç, cimbali un tempo in rame e il çevgen, un bastone lungo un metro con una decina di campanelli disposti a mezzaluna impiegato per dare ritmo ai musicanti.
Come poteva dunque sottrarsi alla fervida fantasia dei napoletani un tale eclatante evento? I turchi in città! Ed ecco comparire sul presepe la banda degli orientali e la banda degli orientali! In verità la stessa fervida fantasia spinse i  pastorari addirittura ad  “inventarsi” alcuni strumenti  o utilizzarne altri per loro inusuali ma certamente non orientali. E’ il caso, per esempio,  del “serpentone” ancor oggi largamente rappresentato nella banda degli orientali. .Si tratta di uno strumento nato in Francia nel XVI secolo  (forse ad opera di un liutaio di Liegi) con la scopo di dare l’intonazione  ai bassi dei cori nei canti gregoriani e rappresentò, di fatto, l’unico efficace basso d’armonia per le orchestre e per le bande fino all’introduzione, nel 1835, della tuba bassa e contrabbassa.  H. Berlioz lo definì “uno strumento barbarico, preistorico, desueto, ingombrante, papale, gotico, repellente e mi fa ribrezzo. Lo voglio!”  E forse proprio per questo “lo vollero”  i pastorari napoletani già un secolo prima di lui!
Enrico Fariello





[1] E. Fariello – G. Rovito, Il lungo viaggio dei pastori, Rolando Ed., Napoli, 2012
[2] J.  Gorani in M. Niola, il presepe, ed. l’ancora del mediterraneo, Napoli, 2005
[3] Relazione della venuta di Hagi Hussein effendi della Porta Ottomana e della pubblica udienza che ha avuto dal Re Nostro Signore il giorno 14 settembre 1741,  Napoli MDCCXLI per Francesco Ricciardo imprenditore del real Palazzo
[4] A. Perrone, Il presepe a Napoli – Cenni storici, ed. Argo, Lecce, 1994
[5]La Grande
[6] L’ odierna Bursa, città della Turchia a sud del Mar di Marmara
[7] Ancor oggi sul presepe napoletano  la banda dei suonatori è rigorosamente vestita in rosso e/o blu
[8] Italianizzato in giannizzeri: soldati sceltissimi che costituivano la fedele guardia del corpo del sultano

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